quinta-feira, 31 de março de 2011

Novo ataque a uma igreja católica no Paquistão

O sacerdote Yusaf Amanat informou que nesta última segunda-feira seis homens armados atacaram e tentaram ingressar na igreja de Santo Tomás, em Wah Canntt (Paquistão), mas ao não obter seu objetivo, causaram um incêndio no templo, ocasionando danos leves.


Em um relatório enviado à agência Fides, o sacerdote relatou que o ataque foi às 6:30pm. Um assistente, alarmado pelo ruído, advertiu o pároco e ligou para a polícia.

O Pe. Yusaf Amanat expressou sua preocupação e disse que o fato poderia ser uma represália pela queima do Corão que realizou semanas atrás o Pastor Terry Jones nos Estados Unidos.

O Arcebispo de Islamabad-Rawalpindi (Paquistão), Dom Rufin Anthony, disse à agência vaticana Fides que ao dirigir-se ao templo encontrou a Polícia, a quem pediu "mais proteção para as igrejas".

"Pude consolar e confortar os fiéis; neste tempo de sofrimento, nós os pastores estamos chamados a estar perto de nossa comunidade. Portanto, como Bispos do Paquistão, escrevemos uma carta pastoral conjunta para animar a nosso povo, para que se mantenha firme na fé e na esperança. Seguimos confiando em Deus e nas instituições do Paquistão".

Fontes da agência vaticana Fides indicaram que este é o terceiro ataque contra templos cristãos em uma semana, "o que indica um clima de intimidação contra as minorias religiosas. Os extremistas estão procurando pretextos para atacar os cristãos. Vivemos em um estado de insegurança, medo e sofrimento. O governo deve pôr estes temas como prioridade em sua agenda".

Entretanto, advertiram que em Rawalpindi há uma fábrica de armas pertencente às Forças Armadas que está resguardada, por isso estranha que um grupo de homens armados tenham podido atuar sem ser perturbados.

Os cristãos do Rawalpindi informaram que as autoridades policiais estão convocando aos líderes cristãos para discutir as medidas de segurança antes da Semana Santa.

Retirado de: ACI Digital

Il sacerdote e il Canone della S. Messa, o Prece eucaristica

Il cuore e culmine della Santa Messa



La Preghiera Eucaristica, nota nella tradizione orientale come Anaphora («offerta»), è davvero il «cuore» e il «culmine» della celebrazione della Santa Messa, come spiega il Catechismo della Chiesa Cattolica[1]. Nella tradizione romana, la Preghiera Eucaristica ha preso il nome di Canon Missae («Canone della Messa»), espressione che si trova nei primi Sacramentari e che risale almeno al Papa Vigilio (537-555), il quale parla della «prex canonica»[2].

La Anafora o Canone è una lunga preghiera che ha forma di ringraziamento (eucharistia), improntata all'esempio di Cristo stesso durante l'Ultima Cena, quando Gesù prese il pane ed il calice del vino e «diede grazie» (Mt 26,27; Mc 14,23; Lc 22,19; 1Cor 11,23). San Cipriano di Cartagine (morto nel 258), uno dei testimoni più importanti della tradizione latina, ha fornito una formulazione classica del legame inseparabile tra la celebrazione liturgica e l'evento dell'istituzione dell'Eucaristia nel cenacolo, quando ha enfatizzato il fatto che il celebrante deve imitare da vicino gli atti e le parole che il Signore usò in quell'occasione, e dai quali dipende la validità dei sacramenti[3].

Il Santo Padre Benedetto XVI ha espresso questa verità essenziale della fede in un'omelia tenuta a Parigi durante la sua Visita Apostolica del 2008:

«Il pane che noi spezziamo è comunione al Corpo di Cristo; il calice di ringraziamento che noi benediciamo è comunione al Sangue di Cristo. Rivelazione straordinaria, che ci viene da Cristo e ci è trasmessa dagli Apostoli e da tutta la Chiesa da quasi duemila anni: Cristo ha istituito il sacramento dell'Eucaristia la sera del Giovedì Santo. Egli ha voluto che il suo sacrificio fosse nuovamente presentato, in modo incruento, ogni volta che un sacerdote ridice le parole della consacrazione sul pane e sul vino. Milioni di volte da venti secoli, nella più umile delle cappelle come nella più grandiosa delle basiliche o delle cattedrali, il Signore risorto si è donato al suo popolo, divenendo così, secondo la formula di sant'Agostino, "più intimo a noi che noi medesimi" (cf. Confess. III, 6.11)»[4].

Le singole parole del «ringraziamento» di Cristo - eccetto quelle dell'istituzione, con le quali il Signore stabilì il Sacrificio della Nuova Alleanza - non ci sono state trasmesse e perciò all'interno della Tradizione Apostolica si è sviluppata una varietà di riti che sono storicamente associati con le sedi primaziali più importanti, che sono nominate dal sesto canone del Concilio di Nicea (325): Roma, Alessandria, Antiochia e, un poco più tardi, Bisanzio[5].

Elementi essenziali della Prece Eucaristica

Gli elementi essenziali della Preghiera Eucaristica sono presentati sinteticamente nel Catechismo:

- Nel Prefazio, «la Chiesa rende grazie al Padre, per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo, per tutte le sue opere, per la creazione, la redenzione e la santificazione. In questo modo l'intera comunità si unisce alla lode incessante che la Chiesa celeste, gli angeli e tutti i santi cantano al Dio tre volte Santo»[6].

- Nell'Epiclesi, la Chiesa «prega il Padre di mandare il suo Santo Spirito (o la potenza della sua benedizione) sul pane e sul vino, affinché diventino, per la sua potenza, il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo e perché coloro che partecipano all'Eucaristia siano un solo corpo e un solo spirito (alcune tradizioni liturgiche situano l'epiclesi dopo l'anamnesi)»[7].

- Nel cuore della Preghiera Eucaristica, ossia nel racconto dell'istituzione, «l'efficacia delle parole e dell'azione di Cristo, e la potenza dello Spirito Santo, rendono sacramentalmente presenti sotto le specie del pane e del vino il suo Corpo e il suo Sangue, il suo sacrificio offerto sulla croce una volta per tutte»[8].

- Al racconto istituzionale fa seguito l'anamnesi, nella quale «la Chiesa fa memoria della Passione, della Risurrezione e del Ritorno glorioso di Gesù Cristo; essa presenta al Padre l'offerta di suo Figlio che ci riconcilia con lui»[9].

- Nelle intercessioni, si «manifesta che l'Eucaristia viene celebrata in comunione con tutta la Chiesa del cielo e della terra, dei vivi e dei defunti, e nella comunione con i pastori della Chiesa, il Papa, il vescovo della diocesi, il suo presbiterio e i suoi diaconi, e tutti i vescovi del mondo con le loro Chiese»[10].

Dalla tarda antichità fino alla riforma liturgica effettuata dopo il Concilio Vaticano II, il Canon Missae era l'unica Preghiera Eucaristica del Rito Romano, ed è ancora così per la forma straordinaria di questo rito, celebrata in accordo al Missale Romanum del 1962. Nella editio typica del Messale pubblicata nel 1970, il Canone Romano è stato conservato con alcune modifiche secondarie (e con la riduzione dei gesti rubricali) come la prima di quattro Preghiere Eucaristiche. Le nuove Preghiere Eucaristiche contengono elementi sia della tradizione latina che di quelle orientali. Successivamente, sono state aggiunge al Messale ancora altre Preghiere Eucaristiche.

Il Canon Missae risale alla seconda metà del IV secolo, periodo in cui la liturgia latina romana cominciò a svilupparsi pienamente. Nel suo De Sacramentis, che consiste in una serie di catechesi tenute ai nuovi battezzati attorno all'anno 390, sant'Ambrogio cita in modo esteso brani della Preghiera Eucaristica utilizzata in quel tempo nella sua città[11]. I brani citati rappresentano le prime formulazioni delle preghiere Quam oblationem, Qui pridie, Unde et memores, Supra quae, e Supplices te rogamus del Canone che si trova nei primi Sacramentari romani.

Nella più anticha tradizione romana, il Canone inizia con ciò che noi oggi chiamiamo Prefazio, un atto solenne di ringraziamento a Dio per i suoi innumerevoli benefici, specialmente per la sua opera di salvezza. Il Sanctus fu introdotto in un momento successivo, separando così il Prefazio dalle preghiere che seguono. È una caratteristica propria del Rito Romano che il testo del Prefazio vari in accordo al tempo liturgico o alla festa celebrata. Le collezioni più antiche di Messe riportavano diversi Prefazi, che si erano molto ridotti già nel primo medioevo, sicché il Missale Romanum del 1570 ne mantenne soltanto undici. Successivamente se ne aggiunsero altri e di certo rappresenta uno dei guadagni dell'opera più recente di riforma liturgica l'aver arricchito il corpus dei Prefazi scegliendoli dalle fonti antiche[12].

La preghiera sacerdotale

Come ha scritto Giovanni Paolo II nella sua Lettera Apostolica Dominicae Cenae nei primi anni del suo pontificato, l'Eucaristia è «la principale e centrale ragion d'essere del sacramento del sacerdozio, nato effettivamente nel momento dell'istituzione dell'Eucaristia e insieme con essa»[13]. La Preghiera Eucaristica è davvero la preghiera sacerdotale per eccellenza perché, come insegna il Concilio Vaticano II, il sacerdote ordinato «compie il sacrificio eucaristico nel ruolo di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo»[14]. Il sacerdote, che ricevendo il sacramento dell'Ordine è stato conformato a Cristo Sommo Sacerdote, agisce e parla rappresentando Cristo Capo. È per questa ragione - scrive Giovanni Paolo II nella sua ultima Enciclica Ecclesia de Eucharistia - che «nel Messale Romano è prescritto che sia unicamente il sacerdote a recitare la Preghiera Eucaristica, mentre il popolo vi si associa con fede e in silenzio»[15].

Nella consacrazione dell'Eucaristia, il sacerdote ordinato non agisce mai da solo, ma sempre in e con il Corpo Mistico di Cristo, la Chiesa, i cui membri, attraverso le virtù infuse della fede e della carità, partecipano all'azione di Cristo Capo rappresentati dal sacerdote ministro. Il Papa Pio XII, nella sua Enciclica Mediator Dei, afferma che anche i fedeli «offrono la Vittima divina, sebbene in un senso diverso» rispetto a come la offre il sacerdote ministro. Questo insegnamento è confermato da riferimenti agli scritti sulla Messa di Papa Innocenzo III e di san Roberto Bellarmino. Pio XII richiama l'attenzione anche sul fatto che le preghiere liturgiche di offerta sono spesso alla prima persona plurale, come avviene anche in diverse parti del Canone della Messa[16]. Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione sulla Sacra Liturgia, segue la Mediator Dei quando proclama che i fedeli, al partecipare al Mistero della Fede, ossia alla Santa Eucaristia, «rendano grazie a Dio, offrendo la Vittima immacolata non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, e imparino ad offrire se stessi»[17]. Come insegna poi la Costituzione Dogmatica conciliare sulla Chiesa, «i fedeli, in virtù del loro regale sacerdozio, concorrono all'offerta dell'Eucaristia»[18]. Attraverso il carattere indelebile che hanno ricevuto nel Battesimo, i fedeli partecipano al sacerdozio di Cristo e pertanto anche all'offerta sacrificale che Egli fa di sé al Padre nello Spirito Santo.

Questo insegnamento del Magistero della Chiesa offre anche il fondamento per una rinnovata e più profonda comprensione della participatio actuosa (partecipazione attiva) dei fedeli alla liturgia, partecipazione che non è solo esteriore, ma anche e soprattutto interiore. Da questa prospettiva si capisce anche meglio perché sin dall'epoca carolingia fino alla riforma del Vaticano II, e anche oggi nella forma straordinaria del Rito Romano, il sacerdote celebrante prega il Canone in silenzio. Come ha spiegato l'allora Cardinale Joseph Ratzinger, così facendo non si nega la comunione davanti a Dio:

«Non è affatto vero che la recitazione ad alta voce, ininterrotta, della Preghiera Eucaristica sia la condizione per la partecipazione di tutti a questo atto centrale della Celebrazione eucaristica. La mia proposta di allora era: da una parte l'educazione liturgica deve far sì che i fedeli conoscano il significato essenziale e l'indirizzo fondamentale del canone; dall'altra, le prime parole delle singole preghiere dovrebbero essere pronunciate a voce alta come un invito a tutta la comunità, così che, poi, la preghiera silenziosa di ciascuno faccia propria l'intonazione e possa portare la dimensione personale in quella comunitaria, quella comunitaria nella dimensione personale. Chi ha personalmente vissuto l'unità della Chiesa nel silenzio della Preghiera Eucaristica ha sperimentato che cos'è il silenzio davvero pieno, che rappresenta insieme un forte e penetrante grido rivolto a Dio, una preghiera colma di spirito. Qui noi preghiamo davvero tutti insieme il Canone, sia pure nel legame con l'incarico particolare del servizio sacerdotale»[19].

Per i sacerdoti, la Celebrazione dell'Eucaristia è il momento più importante della giornata. Tutte le altre attività, ogni altro aspetto della loro esistenza sacerdotale deve essere intimamente connesso all'offerta del Santo Sacrificio. Qui troviamo il cuore del sacerdozio e anzi di tutta la natura sacramentale della Chiesa, come l'allora teologo Joseph Ratzinger ha detto così bene:

«Affinché l'evento avvenuto in un tempo passato si faccia presente, devono dunque essere pronunciate le parole: Questo è il mio Corpo - Questo è il mio Sangue. Ma in queste parole si suppone che parli l'Io di Gesù Cristo. Solo Lui può dire queste cose; sono le Sue parole. Nessun uomo può pretendere di dichiarare l'Io di Gesù Cristo come proprio. Nessuno può qui dire in modo appropriato "Io" e "Mio". Eppure ciò deve essere detto, se il mistero salvifico non è più un lontano passato. Perciò questo si può dire a partire da un munus [Vollmacht] che nessuno può darsi da sé - un munus che neppure una comunità o molte comunità possono trasmettere, bensì solo può fondarsi sull'autorizzazione "sacramentale" data all'intera Chiesa da Gesù Cristo stesso. [...] E questo è esattamente l'"Ordinazione sacerdotale" e il "Sacerdozio"»[20].

--------------------------------------------------------------------------------
Note

[1] Catechismo della Chiesa Cattolica [= CCC], n. 1352.

[2] Papa Vigilio, Ep. ad Profuturum, 5: PL 69,18

[3] Cipriano di Cartagine, Ep. 63,16-17: CSEL 3,714-715.

[4] Benedetto XVI, Omelia durante la Celebrazione Eucaristica all'Esplanade des Invalides, Paris (13 settembre 2008).

[5] Cf. Joseph Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, pp. 155-166.

[6] CCC, n. 1352.

[7] CCC, n. 1353

[8] Ibid.

[9] CCC, n. 1354.

[10] Ibid.

[11] Ambrogio di Milano, De Sacramentis, IV, 5,21-22; 6,26-27: CSEL 73,55 e 57.

[12] Nella sua Lettera ai Vescovi di tutto il mondo per presentare il "Motu Proprio" sull'uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970 (7 luglio 2007), Papa Benedetto XVI indica che il Messale antico potrebbe essere arricchito dall'inserimento di «nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi».

[13] Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Dominicae Cenae (24 febbraio 1980), n. 2.

[14] Concilio Vaticano II, Costituzione Dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 10.

[15] Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), n. 28.

[16] Pio XII, Lettera Enciclica Mediator Dei (20 novembre 1947), nn. 85-87.

[17] Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 48.

[18] Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, n. 10.

[19] J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, p. 211.

[20] J. Ratzinger, Das Fest des Glaubens. Versuche zur Theologie des Gottesdienstes, Johannes, Einsiedeln 1993 (III ediz.), pp. 84-85 (= J. Ratzinger, Theologie der Liturgie. Die sakramentale Begründung christlicher Existenz, Gesammelte Schriften 11, Freiburg, Herder 2008, p. 626).

Estratto: Vatican.va

segunda-feira, 28 de março de 2011

Dom Rosalvo é sagrado bispo em Mogi das Cruzes, SP





 

Dom Rosalvo Cordeiro de Lima foi ordenado bispo no Ginásio do Clube Náutico, Mogi das Cruzes-SP. O Bispo Sagrante foi Dom José Antonio Aparecido Tosi Marques, Arcebispo de Fortaleza-CE, Bispos Consagrantes Dom Emílio Pignoli e Dom Paulo Antonino Mascarenhas Roxo,Opraem, estiveram presentes Dom Airton José dos Santos, Dom Moacir Silva, Dom Fernando Legal,SDB, Dom Tomé Ferreira da Silva, Dom Armando Martin Guitiérrez,FAM, Dom José Luiz Ferreira Sales,CSsR e Dom João José da Costa,OCarm, além do clero diocesano de Mogi das Cruzes, padres de dioceses vizinhas, religiosos, parentes, amigos de Dom Rosalvo, autoridades civis e militares da Região do Alto Tietê e numerosos fiéis que lotaram o Clube Náutico Mogiano.


A Bula Pontifícia do Papa Bento XVI foi lida pelo assistente Pe Jorge Eduardo Coimbra do Almo, Reitor do Seminário Diocesano Imaculada Conceição – Nova Friburgo-RJ, Monsenhor Carlos José de Oliveira, Pároco do Santuário Arquidiocesano de Nossa Senhora da Piedade – Lençois Paulista-SP também esteve presente como padre assistente.

A emoção tomou conta de todos com a Ordenação Episcopal do 1o. Padre Diocesano de Mogi das Cruzes, já que a Diocese completa no próximo ano, seu Jubileu de Ouro, 50 anos de Instalação, conforme as palavras de Dom Airton José dos Santos, Bispo Diocesano.

Novo patriarca maronita recebe ‘Comunhão Eclesiástica’ do Papa

Béchara Boutros Raï toma posse de sua sede em Bkerké


Bento XVI concedeu a ‘Ecclesiastica Communio', na última sexta-feira, ao 77° de Patriarca de Antioquia dos Maronitas, Béchara Boutros Raï, eleito pelo Sínodo dos Bispos da Igreja Maronita, em 15 de março, para suceder neste cargo o cardeal Nasrallah Pierre Sfeir, que, apresentou sua renúncia aos 90 anos.


O novo patriarca, de 71 anos, é originário de Himlaya, uma aldeia montanhosa a leste de Beirute (Líbano), e foi oficialmente designado em uma cerimônia realizada em 25 de março em Bkerké - a 25 km ao norte de Beirute -, onde, desde 1790, encontra-se a residência oficial do patriarca maronita.

"É um motivo de orgulho para a Sua Igreja estar unida, desde o início, ao Sucessor de Pedro - escreveu o Papa na carta de concessão da ‘Ecclesiastica Communio', em conformidade com o Código de Direito Canônico para as Igrejas Orientais. Pedro foi chamado por Jesus para preservar a unidade, na verdade e no amor à sua única Igreja. Seguindo uma antiga e bela tradição, o nome de Pedro é adicionado ao do Patriarca."

Na carta, o Papa fez votos de que o novo patriarca tenha "todo o ardor, iluminado pela sabedoria, configurado pela prudência, para guiar a Igreja Maronita. Adornada pela glória de São Maron e dos santos libaneses São Charbel, São Nimatullah, santa Rafqa o beato Estèphe, poderá sair ao encontro do seu Esposo, nosso Salvador".

"Que o Senhor o assista em seu ministério de ‘Pai e de Cabeça' - continuou Bento XVI -, para proclamar a Palavra que salva, para que seja vivida e celebrada com misericórdia, de acordo com as antigas tradições espirituais e litúrgicas da Igreja Maronita. Que todos os fiéis que lhe foram confiados encontrem consolo em sua solicitude paternal!"

A Igreja Maronita é uma comunidade ‘sui iuris' dentro da Igreja Católica; sempre esteve em comunhão com Roma, embora mantendo uma liturgia e um calendário próprios: celebra a sua liturgia em árabe, exceto nos cânticos antigos e nas orações ancestrais da Eucaristia, para as quais usa o aramaico.

Foi fundada por São Maron, que viveu entre os séculos IV e V como eremita, nas montanhas de Taurus, perto de Cirrus - uma cidade antiga no norte da Síria - e em vida ganhou fama como milagreiro e gozou de uma grande reputação como diretor espiritual.

Hoje, a Igreja Maronita possui mais de 3 milhões de fiéis e está presente no Líbano, Síria, Egito, Terra Santa, e nos países da diáspora, como Argentina e Austrália.

Retirado: Zenit

sexta-feira, 25 de março de 2011

quinta-feira, 24 de março de 2011

El crucifijo en el centro del altar en la Misa “hacia el pueblo”

Columna de teología litúrgica dirigida por Mauro Gagliardi


Desde tiempos remotos, la Iglesia estableció signos sensibles que ayudaran a los fieles a elevar el alma a Dios. El Concilio de Trento, refiriéndose en particular a la Santa Misa, motivó esta costumbre recordando que “Como la naturaleza humana es tal que sin los apoyos externos no puede fácilmente levantarse a la meditación de las cosas divinas, por eso la piadosa madre Iglesia instituyó determinados ritos [...] con el fin de encarecer la majestad de tan grande sacrificio [la Eucaristía] e introducir las mentes de los fieles, por estos signos visibles de religión y piedad, a la contemplación de las altísimas realidades que en este sacrificio están ocultas” (DS 1746).


Uno de los signos más antiguos consiste en volverse hacia oriente para rezar. Oriente es símbolo de Cristo, el Sol de justicia. “Erik Peterson ha demostrado la estrecha conexión entre la oración hacia oriente y la cruz, conexión evidente como muy tarde en el periodo constantiniano. [...] Entre los cristianos se difundió la costumbre de indicar la dirección de la oración con una cruz sobre la pared oriental en el ábside de las basílicas, pero también en las habitaciones privadas, por ejemplo, de monjes y eremitas” (U.M. Lang, Rivolti al Signore, Siena 2006, p. 32).

“Si se nos pregunta hacia dónde miraban el sacerdote y los fieles durante la oración, la respuesta debe ser: ¡a lo alto, hacia el ábside! La comunidad orante durante la oración no miraba, de hecho, adelante al altar o a la cátedra, sino que elevaba a lo alto las manos y los ojos. Así el ábside llegó a ser el elemento más importante de la decoración de la iglesia, en el momento más íntimo y santo de la actuación litúrgica, la oración” (S. Heid, Gebetshaltung und Ostung in frühchristlicher Zeit, Rivista di Archeologia Cristiana 82 [2006], p. 369 [trad. mía]). Cuando, por tanto, se encuentra representado en el ábside Cristo entre los apóstoles y los mártires, no se trata sólo de una representación, sino más bien de una epifanía ante la comunidad orante. La comunidad entonces “elevaba las manos y los ojos 'al cielo'”, miraba concretamente a Cristo en el mosaico absidial y hablaba con él, le rezaba. Evidentemente, Cristo estaba así directamente presente en la imagen. Dado que el ábside era el punto de convergencia de la mirada orante, el arte proporcionaba lo que el orante necesitaba: el Cielo, desde el que el Hijo de Dios se mostraba a la comunidad como desde una tribuna” (ibid., p. 370).

Por tanto, “rezar y orar para los cristianos de la antigüedad tardía formaba un todo. El orante quería no sólo hablar, sino esperaba también ver. Si en el ábside se mostraba de modo maravilloso una cruz celeste o a Cristo en su gloria celeste, entonces por eso mismo el orante que miraba hacia lo alto podía ver exactamente esto: que el cielo se abría para él y que Cristo se le mostraba” (ibid., p. 374).

El Crucifijo en el centro del altar en la Misa “hacia el pueblo”

De los anteriores apuntes históricos, se deduce que la liturgia no se comprende verdaderamente si se la imagina principalmente como un diálogo entre el sacerdote y la asamblea. No podemos aquí entrar en los detalles: nos limitamos a decir que la celebración de la Santa Misa “hacia el pueblo” es un concepto que entró a formar parte de la mentalidad cristiana sólo en la época moderna, como lo han demostrado estudios serios y lo reafirmó Benedicto XVI: “La idea de que sacerdote y pueblo en la oración deberían mirarse recíprocamente nació sólo en la época moderna y es completamente extraña a la cristiandad antigua. De hecho, sacerdote y pueblo no dirigen uno al otro su oración, sino que juntos la dirigen al único Señor” (Teología de la Liturgia, Ciudad del Vaticano 2010, pp. 7-8).

A pesar de que el Vaticano II nunca tocó este aspecto, en 1964 la Instrucción Inter Oecumenici, emanada del Consilium encargado de llevar a cabo la reforma litúrgica querida por el Concilio, en el n. 91 prescribió: “Es bueno que el altar mayor se separe de la pared para poder girar fácilmente alrededor y celebrar versus populum”. Desde aquel momento, la posición del sacerdote “hacia el pueblo”, aún no siendo obligatoria, se convirtió en la forma más común de celebrar Misa. Estando así las cosas, Joseph Ratzinger propuso, también en estos casos, no perder el significado antiguo de oración “orientada” y sugirió superar las dificultades poniendo en el centro del altar el signo de Cristo crucificado (cf. Teología de la Liturgia, p. 88). Uniéndome a esta propuesta, añadí a mi vez la sugerencia de que las dimensiones del signo deben ser tales que lo hagan bien visible, so pena de poca eficacia (cf. M. Gagliardi, Introduzione al Mistero eucaristico, Roma 2007, p. 371).

La visibilidad de la cruz del altar está presupuesta por el Ordenamiento General del Misal Romano: “Igualmente, sobre el altar, o cerca de él, colóquese una cruz con la imagen de Cristo crucificado, que pueda ser vista sin obstáculos por el pueblo congregado” (n. 308). No se precisa, sin embargo, si la cruz debe estar necesariamente en el centro. Aquí intervienen por tanto motivaciones de orden teológico y pastoral, que en el estrecho espacio a nuestra disposición no podemos exponer. Nos limitamos a concluir citando de nuevo a Ratzinger: “En la oración no es necesario, es más, no es ni siquiera conveniente mirarse mutuamente; mucho menos al recibir la comunión. [...] En una aplicación exagerada y malentendida de la 'celebración de cara al pueblo', de hecho, se han quitado como norma general – incluso en la basílica de San Pedro en Roma – las Cruces del centro de los altares, para no obstaculizar la vista entre el celebrante y el pueblo. Pero la Cruz sobre el altar no es impedimento a la visión, sino más bien un punto de referencia común. Es una 'iconostasis' que permanece abierta, que no impide el recíproco ponerse en comunión, sino que hace de mediadora y que sin embargo significa para todos esa imagen que concentra y unifica nuestras miradas. Osaría incluso proponer la tesis de que la Cruz sobre el altar no es obstáculo, sino condición preliminar para la celebración versus populum. Con ello volvería a estar nuevamente clara también la distinción entre la liturgia de la Palabra y la plegaria eucarística. Mientras en la primera se trata de anuncio y por tanto de una inmediata relación recíproca, en la segunda se trata de adoración comunitaria en la que todos nosotros seguimos estando bajo la invitación: ¡Conversi ad Dominum – dirijámonos al Señor; convirtámonos al Señor!” (Teología de la Liturgia, p. 536).

[Traducción del italiano por Inma Álvarez]

Fuente: Zenit

Paraguai: canto gregoriano declarado de interesse diocesano

De: Zenit

A pedido do bispo de Ciudad del Est (Paraguai), Dom Rogelio Livieres, será implantado na diocese um curso de formação coral para Canto Gregoriano.


O curso está destinado a todos os grupos de música paroquiais interessados e durará três semestres. Será dirigido pelo professor Enrique Merello-Guilleminot, membro do Coro Gregoriano de Paris e autor de vários livros sobre o tema.

O objetivo do curso é orientar para uma compreensão global do repertório gregoriano, em relação a sua espiritualidade e aplicação dentro da liturgia católica. Compreende matérias como a história do canto gregoriano, técnicas vocais, memorização e até direção gregoriana. Inclui material didático, bibliografia básica e dará certificado final.

O Curso de Canto Gregoriano foi declarado de interesse diocesano e é promovido pelo Departamento de Liturgia da diocese, devido a seu extenso conteúdo cultural sagrado.

Celibato sacerdotal grita ao mundo secularizado que Deus está presente

O Prefeito da Congregação vaticano para o Clero, Cardeal Mauro Piacenza, assinalou que o celibato sacerdotal "grita" ao mundo secularizado que Deus sempre está presente.


Em um artigo publicado na edição de 23 de março de L'Osservatore Romano, o Cardeal recorda que "o celibato é um dom do Senhor que o sacerdote está chamado livremente a acolher e a viver com plenitude".

Logo depois de recordar que este ensinamento é um tema fundamental dos Papas, o Cardeal adverte que "só uma incorreta hermenêutica dos textos do (Concílio) Vaticano II poderia conduzir a ver no celibato um resíduo do passado do qual liberar-se".

"Tal posição -prossegue- além de ser erro histórico, teológica e doutrinalmente, é também daninha para os aspectos espiritual, pastoral, missionário e vocacional", acrescenta.

Seguidamente o Cardeal Piacenza ressalta a necessidade de formar doutrinalmente o candidato ao celibato sacerdotal porque "não se pode viver o que não se compreende através da razão" e sublinhou que "o celibato é um assunto de radicalidade evangélica".

"Pobreza, castidade e obediência não são conselhos reservados de modo exclusivo aos religiosos. São virtudes que devem ser vividas com intensa paixão missionária. Não podemos baixar o nível da formação e, de fato da proposta da fé".

O Prefeito reconhece logo que "em um mundo secularizado é sempre mais difícil compreender as razões do celibato. Entretanto devemos ter a coragem, como Igreja, de nos perguntarmos se queremos nos resignar ante tal situação, aceitando como iniludível e a progressiva secularização das sociedades e das culturas, ou se estamos preparados para uma obra de profunda e real nova evangelização, ao serviço do Evangelho e, por isso, da verdade sobre o homem".

"Considero, em tal sentido, que o motivado apoio ao celibato e à sua adequada valorização na Igreja e no mundo possam representar algumas das maneiras mais eficazes para superar a secularização".

Finalmente o Cardeal Piacenza escreve que "não devemos nos deixar condicionar ou intimidar por quem não compreende o celibato e quisera modificar a disciplina eclesiástica, ao contrário, devemos recuperar a motivada consciência de que nosso celibato desafia a mentalidade do mundo, pondo em crise seu secularismo e seu agnosticismo, e gritando, nos séculos, que Deus está presente".

Por: ACI Digital

segunda-feira, 21 de março de 2011

São Bento, rogai por nós!

Abade vem de "Abbá", que significa pai, e isto o santo de hoje bem soube ser do monaquismo ocidental. São Bento nasceu em Núrcia, próximo de Roma, em 480, numa nobre família que o enviou para estudar na Cidade Eterna, no período de decadência do Império.


Diante da decadência – também moral e espiritual – o jovem Bento abandonou todos os projetos humanos para se retirar nas montanhas da Úmbria, onde dedicou-se à vida de oração, meditação e aos diversos exercícios para a santidade. Depois de três anos numa retirada gruta, passou a atrair outros que se tornaram discípulos de Cristo pelos passos traçados por ele, que buscou nas Regras de São Pacômio e de São Basílio uma maneira ocidental e romana de vida monástica. Foi assim que nasceu o famoso mosteiro de Monte Cassino.

A Regra Beneditina, devido a sua eficácia de inspiração que formava cristãos santos por meio do seguimento dos ensinamentos de Jesus e da prática dos Mandamentos e conselhos evangélicos, logo encantou e dominou a Europa, principalmente com a máxima "Ora et labora". Para São Bento a vida comunitária facilitaria a vivência da Regra, pois dela depende o total equilíbrio psicológico; desta maneira os inúmeros mosteiros, que enriqueceram o Cristianismo no Ocidente, tornaram-se faróis de evangelização, ciência, escolas de agricultura, entre outras, isso até mesmo depois de São Bento ter entrado no céu com 67 anos.

domingo, 20 de março de 2011

ANGELUS: PAPA FAZ APELO PELA SEGURANÇA E ASSISTÊNCIA HUMANITÁRIA NA LÍBIA

Cidade do Vaticano, 20 mar (RV) – Neste domingo, como tradicionalmente, o Santo Padre, da janela dos seus aposentos, rezou a oração mariana do Angelus junto aos milhares de fiéis e peregrinos que, provenientes de todo o mundo, estavam reunidos na Praça São Pedro. Bento XVI fez um apelo pela proteção da população na Líbia.

“Nos últimos dias – disse o Santo Padre -, as preocupantes notícias que chegaram da Líbia suscitaram também em mim muitas dúvidas e temores. Dediquei a isso especialmente minhas orações ao Senhor durante essa semana de Exercícios Espirituais.”

O Pontífice continuou o apelo, pedindo para que todos os que têm responsabilidade política e militar dediquem especial cuidado à segurança dos cidadãos e ao seu acesso às ajudas humanitárias. O pedido vem na esteira dos últimos acontecimentos. Na tarde de ontem, uma coalizão internacional, seguindo a resolução 1973 das Nações Unidas, iniciou as hostilidades contra as forças que, para manter o Presidente Muamar Kadafi no poder, estão usando extrema brutalidade contra os rebeldes.

O Papa ainda manifestou sua comovida proximidade à população e assegurou-a de suas orações, “pedindo a Deus que um horizonte de paz e de concórdia surja, o quanto antes, para a Líbia e para toda a região do norte da África.

Minutos antes, em sua mensagem – que antecedeu a oração do Angelus -, Bento XVI falou sobre este segundo domingo de Quaresma, que “é também chamado o domingo da Transfiguração, porque – explicou o Papa - o Evangelho narra esse mistério da vida de Cristo”. Citando a passagem do Evangelho segundo São Mateus, disse: “Jesus, após ter anunciado aos seus discípulos a sua paixão, tomou consigo Pedro, os irmãos Tiago e João, e os levou a um lugar à parte, sobre uma alta montanha. E se transfigurou diante deles: o seu rosto brilhou como o sol, e as suas roupas ficaram brancas como a luz”.

O Santo Padre continuou: “de acordo com os sentidos, a luz do sol é a mais intensa que se conheça na natureza, mas, segundo o Espírito, os discípulos viram, por um breve momento, um esplendor ainda mais intenso, o da glória divina de Jesus, que ilumina toda a história da salvação. São Máximo, o Confessor, diz que ‘suas roupas brancas traziam o símbolo das palavras da Sagrada Escritura, que se tornaram claras, transparentes e luminosas´” (Ambiguum 10: PG 91, 1128 B).

Bento XVI frisou que “a Transfiguração não é uma mudança de Jesus, mas é a revelação de sua divindade, a íntima compenetração de seu ser com Deus, que se torna pura luz. Em seu ser um com o Pai, Jesus mesmo é Luz da Luz” (Jesus de Nazaré, Milano 2007, 357).

Após discorrer sobre essa passagem, o Pontífice afirmou que “também nós participamos dessa visão e desse dom sobrenatural, dando espaço à oração e à escuta da Palavra de Deus”. “Invoquemos a Virgem Maria para que nos ajude a escutar e seguir sempre o Senhor Jesus, até a Paixão e a Cruz, para também participarmos da sua glória”, concluiu.

Após saudar, em suas diversas línguas, os fiéis e peregrinos presentes, o Santo Padre concedeu a todos a sua Benção apostólica. (ED/SP)

sábado, 19 de março de 2011

Onomástico do Papa Bento XVI

No día de seu onomástico, desejamos ao nosso Santo Padre Bento XVI que, pela intercessão de São José, o Senhor o proteja, o guarde de todo mal, o bendiga na terra e o defenda de seus inimigos.

Ao mesmo tempo, nós invocamos o Glorioso Patriarca São José pedindo pela Santa Igreja, nestes tempos difíceis e turbulentos , nestes tempos em que se mostram surpreendentemente atuais as palavras que o Papa Leão XIII escreveu há 120 anos atrás: "Agora, Veneráveis ​​Irmãos, vós sabeis os tempos em que vivemos são um pouco menos deploráveis para a religião cristã que nos piores dias, que no passado eram cheias de sofrimento para a Igreja. Nós vemos a fé, a raiz de todas as virtudes cristãs, reduzir a tantas almas, vemos a caridade esfriar, os jovens hábitos de vida e visões depravadas; a Igreja de Jesus Cristo abertamente atacada por algum lado ou de guerra, a astúcia cruel contra o Soberano Pontífice, e os próprios fundamentos da religião comprometidos com uma ousadia que cresce diariamente em intensidade. Estas coisas são, de fato, tão notórias que não é necessário que cheguemos sobre a profundidade a que a sociedade contemporânea tem afundado, ou em projetos que agora agitam a mente dos homens. Diante de tais circunstâncias malfadado e problemas, os remédios humanos são insuficientes, e torna-se necessário, como um único recurso, para implorar o auxílio do poder divino "(Encíclica" Quamquam multi).

São José, advogado da Boa Morte, intercedei por nós!


A vida de S. José, a assistência de Jesus e de Maria, tudo contribui a fazer a sua morte preciosa aos olhos do Senhor.


A Igreja confronta aquela morte, agora a um sono pacifico, como aquele de um menino que se adormenta sobre o seio da sua mãe; agora com uma chama perfumada, que se consuma na proporção que queima, e que morre, exalando o perfume suave que penetrava a sua substância. A morte dos Santos é sempre invejável, porque todos morrem no beijo do Senhor; mas aquele beijo é um doce e precioso sentimento de amor.

Mas José morreu verdadeiramente no beijo do Senhor, porque expirou nos braços de Jesus. E se, como acreditamos, ele teve o uso dos sensos e da palavra até o último suspiro, o qual não podia ser que um suspiro o uma onda de amor, como não terá ele coroado uma vida assim santa, se não com o pronunciar os nomes sagrados de Jesus e de Maria?

Ó morte beata! Se não posso, como José, expirar entre Jesus e Maria, visíveis aos meus olhares, possa pelo menos, sobre os meus lábios moribundos, unir o vosso nome, ó José, aos nomes de Jesus e de Maria!

A santa morte de José produziu preciosos frutos sobre a terra, que foi como aromatizada pelo suave perfume que deixa de si uma santa vida e uma santa morte e deu aos cristãos um potente protetor no Céu perto de Deus, especialmente para os agonizantes.

Qualquer um que envoca São José na última batalha, seja também violenta, vencerá. Beato quem coloca a sua confiança neste santo Patriarca e une expirando o nome santo de José aos docíssimos nomes de Jesus e de Maria.

Todo o mundo cristão o reconhece advogado dos agonizantes e portanto da boa morte. José, filho de Jacó, socorria no tempo da carestia os Egipzianos distribuindo a eles a farinha que tinha colhido; mas para socorrer os proprios irmãos, fez ainda mais, não contente de ter repleto os seus sacos de farinha, adicionou o preço dos mesmos. Assim fará certamente o nosso glorioso S. José; com que generosidade não tratará os seus devotos? Ah sim, ao momento de extrema necessidade deles, no ponto de morte, ele saberá recompensar os devotos, homagens com que será honorado.

A morte dos servos de S. José é calma e suave. Santa Teresa narra as circunstâncias que acompanhavam os últimos instantes das suas primeiras filhas, muito devotas a S. José. « Observei, disse ela, que ao momento do último respiro elas gozavam de grande paz e tranquilidade; a morte delas foi simili ao doce repouso da oração. Nada indicava que dentro delas tivesse agitação da tentação. Aquelas luzes divinas liberam o meu coração do timor da morte. Morrer, me parece agora, a coisa mais fácil para uma fiel devota de S. José».

TE JOSEPH CÉLEBRENT


Te, Ioseph, celebrent agmina caelitum,
te cuncti resonent Christiadum chori,
qui, clarus meritis, iunctus es inclitae,
casto foedere Virgini.

Almo cum túmidam gérmine cóniugem
admírans, dúbio tangeris ánxius,
afflátu súperi Fláminis, Angelus
concéptum púerum docet.

Tu natum Dóminum stringis, ad éxteras
Aegýpti prófugum tu séqueris plagas;
amíssum Sólymis quaeris et ínvenis,
miscens gáudia flétibus.

Post mortem réliquos sors pia cónsecrat
palmámque eméritos glória súscipit;
tu vivens, Súperis par, frúeris Deo,
mira sorte beátior.

Nobis, summa Trias, parce precántibus;
da Ioseph méritis sídera scándere,
ut tandem líceat nos tibi pérpetim
gratum prómere cánticum.
Amen.

São José, rogai por nós!


Pouco conhecemos sobre a vida de S. José; unicamente as rápidas referências transmitidas pelos evangelhos. Este pouco, contudo, é o suficiente para destacar seu papel primordial na história da salvação.


José é o elo de ligação entre o Antigo e o Novo Testamento. É o último dos patriarcas. Para destacar este caráter especial de José, o evangelho de S. Mateus se apraz em atribuir-lhe "sonhos", à exemplo dos grandes patriarcas, fundadores do povo judeu (Mt 1,20-24; 2,13-19). A fuga de José com sua família para o Egito repete, de certa forma, a viagem do patriarca José, para que nele e em seu filho Jesus se cumprisse o novo Êxodo (Mt 2,13-23; Os 11,1; Gn 37; 50,22-26).

A missão de José na história da salvação consistiu em dar a Jesus um nome, fazê-lo descendente da linhagem de Davi, como era necessário para cumprir as promessas.

Sua pessoa fica na penumbra, mas o Evangelho nos indica concisamente as fontes de sua grandeza interior: era um "justo" (Abraão tinha buscado seis justos na cidade e não os tinha achado);de uma fé profunda, inteiramente disponível à vontade de Deus, alguém que "esperou contra toda esperança".

Sua figura quase desapareceu nos primeiros séculos do cristianismo, para que se firmasse melhor a origem divina de Jesus. Mas já na Idade Média, S. Bernardo, Sto. Alberto Magno e S. Tomás de Aquino lhe dedicaram tratados cheios de devoção e entusiasmo. Desde então, seu culto não tem feito senão crescer continuamente. Pio IX declarou-o padroeiro da Igreja universal com o decreto Quemadmodum Deus; Leão XIII, na encíclica Quamquam pluries, propunha-o como advogado dos lares cristão. Em nossos dias foi declarado modelo dos operários.

sexta-feira, 18 de março de 2011

Papa confere títulos honoríficos a fundadores do Ordinariato para ex-anglicanos


Nota do site do Ordinariato para ex-anglicanos:



Foi hoje anunciado que o Ordinário do Ordinariato Pessoal de Nossa Senhora de Walsingham foi distinguido por Sua Santidade, Papa Bento XVI, com o título de Protonotário Apostólico.


Padre John Broadhurst e Padre Andrew Burnham também foram distinguidos com o título de Prelados de Honra.


De forma que os três padres são agora conhecidos como Monsenhores.

A mesma notícia no Catholic Herald:

O Papa distinguiu os três ex-bispos anglicanos, os primeiros membros do Ordinariato de Nossa Senhora de Walsingham, com o título de monsenhor [na realidade "monsenhor" não é título, mas apelativo que se usa para certos sacerdotes, alguns por serem detentores de títulos, outros por desempenharem certos ofícios; o Ordinário, por exemplo, mesmo sem qualquer título é chamado "monsenhor" ex officio, como o são os vigários-gerais].

Padre Keith Newton, líder do Ordinariato que desempenha a maioria das funções de um bispo, e Padre John Broadhurst, ex-bispo [anglicano] de Fulham, receberam a comenda papal de Protonotários Apostólicos, mais elevado título eclesiástico para não bispos. Padre Andrew Burnham, ex-bispo [anglicano] de Ebbsfleet, recebeu a comenda papal de Prelado de Honra, e portanto também é um monsenhor [a informação está incorreta, conforme se lê acima no site do Ordinariato].

Os três tornaram-se os primeiros clérigos do primeiro ordinariato pessoal do mundo estabelecido para grupos de ex-anglicanos em janeiro, fruto da Constituição Apostólica Anglicanorum Coetibus.

Grupos de ex-anglicanos serão recebidos na Igreja na Semana Santa e os padres para o Ordinariato serão ordenados por volta de Pentecostes.

O ordinário espera que cerca de 900 pessoas se tornarão membros do Ordinariato na Semana Santa, incluindo 61 clérigos. A maioria dos leigos que entrarão no Ordinariato participaram de um Rito de Eleição em todo o país na semana passada.

Padre Newton afirmou: "Estou deveras encantado com o número de leigos anglicanos que iniciaram sua jornada em direção à plena comunhão com a Igreja Católica na Semana Santa. Não tem sido uma jornada fácil para muitos mas eu sei que eles serão largamente abençoados. Os Ritos de Eleição (ou Alistamento para membros do Ordinariato) nas dioceses foram uma parte muito comovente e importante desta jornada".

Fonte: OBLATVS

quinta-feira, 17 de março de 2011

Quanto Jesus deseja unir-se conosco na santa Comunhão


Desiderio desideravi hoc Pascha manducare vobiscum, antequam patiar ― «Tenho desejado ansiosamente comer convosco esta Páscoa, antes que padeça» (Luc 22, 15).

Sumário. Nenhuma abelha esvoaça com tanta avidez sobre as flores para lhes sorverem o mel, como Jesus vai morar nas almas que o desejam. Eis porque no Evangelho nos convida tantas vezes a que nos aproximemos dele na santa Comunhão. Faz tantas promessas e tantas ameaças, para manifestar o grande desejo que tem de unir-se conosco. Que ingratidão, pois, se não correspondemos a tão grande amor!

I. Jesus Cristo chama hora sua a noite em que devia começar a sua paixão. Mas como é que pode chamar uma hora tão funesta a sua hora? É porque foi a hora por ele almejada em toda a sua vida, visto que havia determinado que naquela noite havia de nos deixar a santa Comunhão, destinada a consumar a sua união com as almas diletas, pelas quais devia em breve dar o sangue e a vida. Eis aqui o que naquela noite Jesus disse a seus discípulos: Desiderio desideravi hoc pascha manducare vobiscum ― «Tenho desejado ansiosamente comer esta Páscoa convosco». Palavra pela qual o Redentor nos quis dar a entender o desejo ansioso que tinha de unir-se conosco neste santíssimo Sacramento de amor: desiderio desideravi ― «desejei ansiosamente»; estas palavras, diz São Lourenço Justiniani, saíram do Coração de Jesus abrasado em imenso amor.

Ora, a mesma chama que então ardia no Coração de Jesus, ainda está ardendo ali até ao presente; e a todos nós renova o convite feito então aos apóstolos de o receberem: Accipite et comedite, hoc est corpus meum (Mt 26, 26) ― «Tomai e comei: isto é o meu corpo». Além disso, para atrair-nos a recebê-lo com amor, promete o paraíso: Qui manducat meam carnem, habet vitam aeternam (Jo 6, 55) ― «Quem como a minha carne, tem a vida eterna». No caso contrário ameaça-nos com a morte eterna: Nisi manducaveritis carnem Filii hominis, non habebitis vitam in vobis (Jo 6, 54) ― «Se não comerdes a carne do Filho do homem, não tereis a vida em vós».

Estes convites, estas promessas, estas ameaças nasceram todas do desejo que tem Jesus Cristo de se unir conosco na santa comunhão, e este desejo nasce do amor que nos tem. «Não há abelha», disse um dia o Senhor a Santa Matilde, «que com tanta avidez esvoace sobre as flores para lhes sorver o mel, como eu anseio entrar nas almas que me desejam». Porque Jesus nos ama, quer ser amado de nós, e porque nos deseja seus, quer ser desejado, como diz São Gregório: Sitit sitiri Deus. Bem-aventurada a alma que se aproxima da mesa da comunhão com grande desejo de se unir a Jesus Cristo!

II. Adorável Jesus meu, não podeis dar-nos maiores provas de amor par anos fazer compreender quanto nos amais. Destes vossa vida por nós; ficastes no Santíssimo Sacramento, para que venhamos aí alimentar-nos de vossa carne, e quão grande desejo tendes que Vos recebamos! Como podemos ser sabedores de tantas finezas de vosso amor, sem ficarmos abrasados no vosso amor? Longe de mim, afetos terrenos, saí de meu coração; vós é que me impedis de arder por Jesus como ele arde por mim. Ó meu Redentor, que outros testemunhos de afeto posso eu ainda esperar, depois dos que me tendes dado? Por meu amor sacrificastes a vossa vida inteira; por meu amor abraçastes uma morte tão amarga e ignominiosa; por meu amor chegastes, por assim dizer, a aniquilar-Vos, reduzindo-Vos na Eucaristia a estado de alimento, para Vos dardes todo a mim. Ah, Senhor! não permitais que eu seja ingrato a tão grande bondade.

Graças vos dou pelo tempo que me concedeis para chorar minhas ingratidões e Vos amar. Arrependo-me, ó soberano Bem, de ter tantas vezes desprezado o vosso amor. Amo-Vos, ó Bondade infinita; amo-Vos, ó Tesouro infinito; amo-Vos, ó Amor infinito, digno de infinito amor. + Jesus, meu Deus, amo-Vos sobre todas as coisas. Por piedade, ajudai-me, ó meu Jesus, a banir do meu coração todos os afetos que não são para Vós, para que daqui por diante não deseje, não busque e não ame senão a Vós. Meu amado Redentor, fazei com que eu Vos ache sempre e sempre Vos ame. Apoderai-Vos de toda a minha vontade, para que queira somente o vosso beneplácito. Meu Deus, meu Deus, a quem então amarei, se não amo a Vós em quem se encontram todos os bens? Só a Vós quero, e nada mais. ― Ó Maria, minha Mãe, tomai meu coração e enchei-o de perfeito amor a Jesus. (II 406.)

-----

Santo Afonso Maria de Ligório. Meditações: Para todos os Dias e Festas do Ano: Tomo Primeiro: Desde o primeiro Domingo do Advento até Semana Santa inclusive. Friburgo: Herder & Cia, 1921, p. 308-311.
 
De: São Pio V

terça-feira, 15 de março de 2011

Mais detalhes do Segundo Pontifical na Basílica de São Pedro

O blog Coetus Sacerdotalis Summorum Pontificum publicou hoje mais detalhes da segunda missa pontifical na Basílica de São Pedro em virtude de um novo encontro sobre o Summorum Pontificum. Tal encontro já havia sido anunciado em outubro passado.

As associações italianas Giovani e Tradizione e o Sodalício Amicizia Sacerdotale Summorum Pontificum, estão organizando um novo encontro sobre o motu proprio Summorum Pontificum em Roma no Angelicum em Maio de 2011, o qual será concluído com uma outra Missa Pontifical na Forma Extraordinária do Rito Romano na Basílica de São Pedro no Vaticano no Altar da Cátedra.

Desta vez a Santa Missa será celebrada pelo Cardeal Antonio Cañizares Llovera, Prefeito da Congregação para o Culto Divino e Disciplina dos Sacramentos, no domingo 15 de maio de 2011. “Giovani e Tradizione” publicou agora o programa definitivo para o Encontro, o qual se pode consultar aqui.

O presbítero assistente, o diácono e o subdiácono da Santa Missa serão oficiais da Pontifícia Comissão Ecclesia Dei. O restante do serviço litúrgico será fornecido pelo Instituto de Cristo Rei Sumo Sacerdote, enquanto que um dos dois coros será dirigido pelo Cardeal Domenico Bartolucci.


Retirado: New Liturgical Movement
Traduzido por: Coetus Sacerdotalis Summorum Pontificum

Bispos japoneses: “Nossa missão é manter viva a esperança”

Publicado em: Zenit

Pedem orações dos cristãos do mundo inteiro



Após o terrível terremoto e o tsunami que devastaram o Japão, todos, começando pela Igreja Católica, estão trabalhando para levar ajuda às vítimas da tragédia.


Neste contexto, os bispos japoneses querem estar em primeira linha, para "manter viva a chama da esperança", afirmou à Fides Dom Martin Tetsuo Hiraga, bispo de Sendai, a diocese mais afetada.

"A situação é muito difícil. Ainda não podemos compreender a magnitude do desastre - confessou. As notícias são fragmentárias. Minha diocese é muito grande e abrange quatro prefeituras civis, ao longo de 500 km de costa, no norte da ilha de Honshu, a maior do arquipélago japonês. O tsunami afetou mais de 300 km de costa."

"Nós ainda não sabemos quantas pessoas morreram, quantas estão desaparecidas, nem quantas estão desabrigadas. Não sabemos se entre estes há fiéis católicos", reconheceu o prelado.

Dada a incerteza, "ainda é difícil dizer o que pode ser feito ou como ajudar (...). As pessoas estão exaustas e desorientadas. O impacto material e emocional na sociedade tem sido muito forte".

"Estão chegando carros e voluntários provenientes de todo o Japão. É preciso união e boa vontade de todos", acrescentou.

"Nós, católicos da diocese de Sendai, somos pouco mais de dez mil, um pequeno rebanho. Mas continuamos rezando pelas vítimas e faremos o possível para levar alívio, para dar testemunho da mensagem do amor de Cristo, neste momento de sofrimento."

Os bispos japoneses se reunirão amanhã em Sendai, explicou Dom Hiraga, para decidir que estratégia adotar.

Devemos buscar conselho sobre como agir. Enquanto isso, confiamos em Deus e pedimos a oração de todos os cristãos no mundo."

"Nós recebemos a mensagem do Santo Padre e lhe agradecemos por suas palavras, que nos dão coragem e esperança. Hoje, esta é a nossa missão específica: ajudar o país a voltar a dirigir os olhos ao céu e manter viva a chama da esperança."

A diocese de Sendai tem oficialmente 10.944 batizados, representando 0,15% da população (mais de 7,2 milhões) do território.

Tem 53 paróquias e 13 casas missionárias, servidas por 27 sacerdotes diocesanos e 19 sacerdotes religiosos, 5 religiosos leigos e 262 freiras.

segunda-feira, 14 de março de 2011

Nossa Senhora e a conversão da Rússia

Retirado de: Zenit

Entrevista com o Pe. Erich Fink

A conversão da Rússia é o sonho do padre Erich Fink desde que ele trabalhava na lavoura, na Alemanha, aos 10 anos de idade.

Agora sacerdote, trabalhando pastoralmente em Berezniki, na Rússia oeste-central, ele explica nesta entrevista que o chamado de Nossa Senhora de Fátima a rezar pela conversão da Rússia continua valendo.

Padre, a Rússia foi o seu sonho de infância. Por quê?

Padre Fink: Eu acredito que foi um chamado de Nossa Senhora de Fátima. Eu conhecia um pouco sobre a Rússia por causa do meu pai. Ele ficou na Rússia sete anos quando era jovem, durante a guerra, três como soldado e quatro como prisioneiro. Ele falava com muito carinho dos russos. Falava das mulheres russas que jogavam pão para os presos, por cima dos muros, sabendo que era ilegal e que podia dar pena de morte. Depois ele voltou para a Alemanha e casou com a minha mãe.

Nós sofremos muito naqueles anos. Procurávamos ajudar a família naquelas dificuldades e descobrimos a oração de Fátima. Nossa Senhora prometeu aliviar os problemas das famílias, então começamos a rezar o terço. Foi naquela época que a mensagem ficou clara para mim. A paz do mundo dependia da conversão da Rússia. Então eu resolvi que queria trabalhar na Rússia.

Que idade o senhor tinha?

Padre Fink: Eu tinha dez anos. Em cinco anos eu soube claramente que queria ser padre. E já naquela época eu queria ir para a Rússia, ajudar nessa conversão.

Houve alguma pessoa em particular que inspirasse o senhor a isso?

Padre Fink: Nenhuma pessoa me inspirou. Eu me lembro que estava na granja dos meus pais e tive essa inspiração, e soube que, alguma hora, eu ia virar padre. E o desejo de ir para a Rússia era muito forte. Eu aproveitei todas as possibilidades para isso. Escutei que Tatiana Goricheva ia vir para a Alemanha, fui atrás e me encontrei com ela...

Tatiana Goricheva era uma dissidente lituana que ficou presa durante muitos anos e contava a história da conversão dela...


Padre Fink: Isso. Ela era uma filósofa ateia e se converteu. Aí começou a pregar e dar testemunho da fé recém-encontrada. Por isso é que ela foi presa e exilada. Eu me encontrei com ela e falei que queria trabalhar na Rússia, como padre. Ela me disse: "Não é muito realista e, no decurso da sua vida, a Rússia não vai mudar".

Qual foi o seu maior desafio quando chegou a Berezniki?

Padre Fink: A língua! Eu só sabia o alfabeto e nenhuma frase!

E os desafios de trabalhar na Rússia?

Padre Fink: Da manhã até cair a tarde as pessoas vêm até mim para pedir ajuda espiritual e material. Mas eu tenho que decidir, toda vez, como ajudar, e pergunto para mim mesmo: "Isso é um desejo sincero de ajuda espiritual? Qual é a forma apropriada de dar assistência social?". Também tenho que ajudar as pessoas a se tornarem independentes para tomar suas decisões, encontrar suas próprias soluções para melhorar de vida. Esses são os grandes desafios.

E o maior desafio da Igreja Católica na Rússia, qual é?

Padre Fink: Nós temos que dar testemunho da dignidade divina de toda pessoa humana. Esta é a maior necessidade na Rússia. Temos muitos problemas: alcoolismo, consumo de drogas, crianças de rua. Toda pessoa tem uma dignidade divina. Essa dignidade pode ser nutrida de uma postura holística, que não implique só ação social, mas também alimento espiritual. A Igreja Católica tem a possibilidade de fazer isso. A Igreja Ortodoxa tem menos experiência na ação social, e nós, católicos, podemos ajudar. Mas temos que entender a mentalidade russa para dar a ajuda apropriada e, ao mesmo tempo, entender e amar a Igreja Ortodoxa. Temos que entender que nós somos hóspedes, e que a conversão e a renovação da fé só podem acontecer através e na Igreja Ortodoxa. Para ajudar a Igreja Ortodoxa, precisamos entender a Igreja.

Se o senhor tivesse que lançar um apelo aos católicos, o que pediria a eles?


Padre Fink: O meu pedido é que eles compreendam a Rússia. Eu noto, na Europa e no Ocidente, que existem muitas dúvidas. "Não é um sistema democrático", essas coisas. Isso não ajuda. A Rússia precisa ser um país forte para resolver os seus problemas e está no caminho. A Rússia precisa da ajuda moral de todos os fiéis e precisa que eles se alegrem com os seus progressos. Mas não precisamos só de compreensão, precisamos de orações. Em Fátima, quando Nossa Senhora pediu que todos os católicos rezassem pela conversão da Rússia, nós sabíamos que o comunismo estava acabado. Muitos acham agora que não é mais necessário continuar rezando pela Rússia. É sim, as orações e o apoio espiritual são mais necessários agora do que nunca, porque a Rússia, só agora, está começando a se converter. Ela ainda não está convertida.

domingo, 13 de março de 2011

O Pluvial ou Capa de Asperges

Asperges na forma extraordinária do Rito Romano,
o padre usa o pluvial durante a aspersão e
depois coloca a casula para celebrar a Missa.
Na forma ordinária do Rito Romano, a aspersão
com a água faz-se de casula, sem a utilização do pluvial.
Durante as Vésperas pode-se usar o pluvial da cor
litúrgica do tempo em questão.

DEFINIÇÃO


É um grande manto, fechado na frente com uma fivela. É usado em várias cores litúrgicas em muitos atos litúrgicos, exceto na missa, depois de colocar a estola sobre a alva ou a sobrepeliz. O pluvial (capa, Mantus) é um longo manto litúrgico que quase chega ao pé, aberto na frente e preso no peito com um broche. A parte traseira é decorada com o chamado "escudo", realizada no local por botões ou fitas (resquício de um grande capuz antigo).

USO

O padre usa principalmente para as bênçãos solenes que são feitas no altar , nas procissões,nos funerais, para as orações solenes da Sexta-Feira Santa, na Vigília Pascal, Solenes Vésperas e Laudes, assim como no fim das Matinas solenes.Pode ser usada por um padre assistente, nas primeiras missas de novos sacerdotes (se não concelebrantes) e para a celebração dos sacramentos fora da missa e na bênção com o Santíssimo Sacramento.

O CERIMONIAL DOS BISPOS

66. A veste própria do presbítero celebrante, na Missa e outras ações sagradas, diretamente ligadas à
Missa, é a casula, a qual se veste por cima da alva e da estola, a não ser que se indique outra coisa.
O sacerdote põe a estola ao pescoço, pendente diante do peito.
O pluvial, ou capa de asperges, é usado pelo sacerdote nas ações sagradas solenes fora da Missa, nas
procissões e outros atos sagrados, segundo as rubricas próprias de cada rito.
Os presbíteros que assistem a uma celebração sagrada em que não celebrem devem usar as vestes
corais, sendo prelados ou cônegos; se não, a sobrepeliz por cima do hábito talar.

OBS.: Por mais que queiramos praticar a Reforma de Bento XVI, não podemos desobedecer as regras e normas de cada forma do Rito Romano. Não podemos incluir peculiaridades de uma forma do mesmo rito em outra, salvo se a mesma não interferir na liturgia.

Coetus Sacerdotalis Summorum Pontificum


Durante o Encontro Sacerdotal sobre o Summorum Pontificum em Garanhuns-PE, foi criado um grupo sacerdotal que dá assistência aos fiéis católicos ligados à Missa Gregoriana, em comunhão plena com o Papa. Este grupo foi batizado com o nome de: Coetus Sacerdotalis Summorum Pontificum. Tal "coetus" entrou também na blogosfera, visando justamente dar o seu apoio a Reforma Litúrgica e o resgate da Beleza do Rito Romano em sua forma extraordinária.

Para conhecer este novo, mas nem tanto, blog acesse:
http://coetusacerdotalis.blogspot.com/

sábado, 12 de março de 2011

São Gregório Magno, Papa e Doutor, rogai por nós!

Gregório Magno, Papa e Doutor da Igreja, nasceu em Roma, em 540. O pai, Gordiano, era Senador e, como a mãe, Sílvia, pessoa muito religiosa. De mútuo acordo Gordiano e Sílvia se dedicaram ao serviço de Deus, ele abraçando o estado eclesiástico e ela, retirando-se à solidão, para servir unicamente a Deus. Gordiano recebeu o diaconato e prestou grandes serviços como Cardeal-diácono.


Gregório recebeu uma educação esmerada e distinguia-se entre os companheiros, pelo seu saber e pela virtude. Tendo 34 anos de idade, o Imperador Justino II nomeou-o pretor, primeiro ministro de Roma. Nesta elevada posição deu altas provas de amor à justiça, de humildade e piedade. Depois da morte do pai, renunciou o cargo e fundou sete conventos: seis na Sicília e um em Roma. O seu palácio no Monte Célio foi transformado em mosteiro beneditino. Em 575 tomou o hábito da mesma Ordem. Como religioso, foi modelo para todos, nas virtudes da vida monástica. Em certa ocasião viu Gregório escravos, que tinham vindo da Inglaterra. A triste sorte desses infelizes comoveu-o profundamente e, sabendo que a Inglaterra estava ainda mergulhada nas trevas do paganismo, pediu e obteve licença para dedicar-se à obra da missão na Inglaterra. Não chegara ao termo da viagem, quando uma ordem do Papa Pelágio II, o chamou para Roma, onde foi incorporado ao Colégio dos sete diáconos da Igreja. Pouco tempo depois, em missão extraordinária, foi mandado a Constantinopla, de onde voltou para atender a vontade dos companheiros de Ordem, que o tinham eleito abade. Deus, porém, tinha-lhe reservado dignidade maior, Pelágio II, morreu em 590. A voz unânime do povo e do clero, na eleição de um sucessor, indicou Gregório, eleição que foi confirmada pelo império. Se bem que tudo fizesse para fugir da grande responsabilidade de Supremo Pastor, Gregório, vendo a inutilidade dos seus esforços, afinal aceitou a nova dignidade, curvando-se perante a evidência da vontade divina.

O pontificado de Gregório traz o estigma da caridade. Caridoso para com todos, era amado como um pai. Católicos hereges e judeus, dirigiam-se-lhe cheios de confiança, certos de serem atendidos nas suas necessidades.

O nome de Gregório está intimamente ligado à reforma do cantochão, a música litúrgica da Igreja, que é conhecida também sob o nome de canto gregoriano.

Ao lado de uma caridade sem par, vemos no caráter deste grande Papa uma firmeza admirável, na defesa da fé e dos bons costumes cristãos. Assim se opôs energicamente às indevidas imposições do Patriarca de Constantinopla; conseguiu do imperador a revogação de um decreto, que excluía funcionários públicos do estado eclesiástico, e proibia aos soldados a entrada em uma Ordem religiosa.

Embora de atividade pouco comum, no meio dos negócios da Igreja, não perdia de vista a santificação de sua alma. – “Eu estou pronto – assim se exprimia numa carta – para ouvir todos aqueles, que me quiserem fazer a caridade de uma repreensão salutar; considero como amigos só aqueles que possuírem a generosidade de indicar-me os meios de purificar minha alma das manchas que tem”.

Amigo das ciências, procurou despertar, principalmente entre o clero, interesse pelo estudo das mesmas. Na ignorância reconhecida a fonte de muitas desordens.

A situação geral da Igreja não era lisonjeira, e requeria um papa da têmpera de Gregório. Quando tomou as rédeas do governo, a Igreja oriental estava dividida pelos erros de Nestório e Eutiques. Gregório reconduziu muitos hereges à Igreja-mãe. A Inglaterra estava nas trevas do paganismo; Gregório para lá mandou os primeiros missionários. Na Espanha o arianismo conseguia implantar-se na alma da nação, graças ao governo dos Visigodos; Gregório restabeleceu lá a fé católica em toda a pureza. A Igreja da África foi libertada do mal dos donatistas, e a França deve a Gregório magno a extirpação de um grande mal – da simonia. De uma atividade admirável, Gregório Magno achou tempo ainda para compor numerosos livros, cheios de sabedoria e santidade. Após um pontificado abençoado de 13 anos, Gregório morreu em 604, na idade de 64 anos. Com Santo Ambrósio, Santo Agostinho e São Jerônimo é um dos quatro doutores latinos.

O diácono Pedro, que possuía toda confiança de São Gregório, afirma ter visto muitas vezes o divino Espírito Santo, em forma de uma pomba branca, descer sobre o Santo Papa. É por este motivo que a arte cristã apresenta São Gregório Magno com uma pomba branca, pairando-lhe a cabeça.

sexta-feira, 11 de março de 2011

Un’istruzione per i fedeli e per la messa

Sarà pubblicata nelle prossime settimane, probabilmente agli inizi di aprile, l’istruzione della Pontificia Commissione Ecclesia Dei – firmata dal cardinale Levada, dal segretario Guido Pozzo e approvata da Benedetto XVI – che stabilisce alcuni criteri applicativi del motu proprio Summorum Pontificum. Come si ricorderà, il motu proprio, promulgato da Papa Ratzinger nel 2007, aveva sancito la liberalizzazione dell’antico messale e la possibilità per gruppi di fedeli di chiedere direttamente ai parroci la celebrazione della messa secondo il rito precedente alla riforma conciliare (con il messale romano del 1962, e non con quelli precedenti).


E’ inutile nascondersi che, a fronte di tante aperture e di un numero crescente di celebrazioni in rito antico, ci sono state anche molte reazioni di chiusura e restrizioni poste da alcuni vescovi. L’istruzione, in questo momento in via di traduzione in latino e nelle varie lingue (il testo di base è in italiano) è dunque un documento importante. Nelle scorse settimane, alcuni siti web e blog legati al mondo cosiddetto tradizionalista, o che comunque ne seguono con attenzione le attività, hanno mosso una serie di critiche preventive al documento, sostenendo che si tratterebbe in realtà di un annacquamento della volontà papale. Da quanto ho potuto apprendere, quell’interpretazione non corrisponde al vero. Per questi motivi.

Innanzitutto l’istruzione con i suoi contenuti conferma che il motu proprio è legge universale della Chiesa e che tutti sono tenuti ad applicarla e a garantire che venga applicata. L’istruzione afferma che va assicurata la possibilità della celebrazione in rito antico dovunque vi siano dei gruppi di fedeli che la richiedono. Nel testo non vienei precisato alcun numero minimo di fedeli che devono costituire il gruppo.

Si dice invece che è bene – in accordo anche con l’esortazione post-sinodale sull’eucaristia – che i seminaristi studino il latino. Ma l’istruzione prevede anche che conoscano la celebrazione secondo la forma antica. Il “sacerdos idoneus” per la celebrazione con il messale preconciliare non occorre che sia un latinista provetto, ma che sappia leggere e capisca ciò che legge ed è chiamato a pronunciare durante il rito.

La Pontificia commissione Ecclesia Dei, che da due anni è stata inglobata nella Congregazione per la dottrina della fede, viene costituita con l’istruzione come l’organismo chiamato a dirimere le questioni e le controversie, giudicando in nome del Papa.

I vescovi non devono né possono promulgare norme che restringano le facoltà concesse dal motu proprio, o ne mutino le condizioni. Sono chiamati invece ad applicarlo.

Può essere celebrato anche il Triduo pasquale in rito preconciliare là dove ci sia un gruppo stabile di fedeli legati alla liturgia antica. Gli appartenenti agli ordini religiosi possono usare i messali con i rispettivi riti propri preconciliari.

Il rito ambrosiano non viene citato nell’istruzione: il motu proprio infatti si applica soltanto al rito romano (Ecclesia Dei non è competente sul rito ambrosiano, sul quale ha invece giurisdizione la Congregazione del Culto divino). Ciò però non significa che il motu proprio, o meglio, che la chiara ed esplicita volontà papale non sarà applicata nella diocesi di Milano. E’ sempre accaduto, con la riforma liturgica, ma prima ancora con i cambiamenti introdotti nei riti della Settimana Santa del 1954 da Pio XII, che il rito ambrosiano abbia fatto proprie istanze e modifiche, seppure in tempi successivi. E’ probabile che - stante l’evidente volontà del Papa di rendere disponibile per tutti i fedeli il rito antico, visto l’inquadramento giuridico precisato nel documento sull’applicazione del motu proprio di imminente pubblicazione, in considerazione del fatto che anche l’ambrosiano è un rito latino riformato nel post-concilio - possa essere studiato un documento analogo che estenda il Summorum Pontificum anche alla diocesi di Milano.

Dal blog: Sacri Palazzi

Papa aos párocos de Roma: O sacerdote deve ter olhos de Deus, não olhos de burocrata


Da Rádio Vaticano

O sacerdote não é um "administrador", mas um homem escolhido por Deus para imitar Cristo, que sabe como Ele ser humilde, amar a humanidade, ter a sensibilidade para com os pobres, defender a Igreja com coragem, onde quer que ela se encontre ameaçada.


Com uma lectio divina inspirada pelo Cap. 20 dos Atos dos Apóstolos, Bento XVI deteve-se na manhã desta quinta-feira, na Sala das Bênçãos, no Vaticano, com os sacerdotes da Diocese de Roma, conduzidos pelo Cardeal-Vigário Agostino Vallini, no tradicional encontro anual do Papa com o seu clero.

Ter olhos de Deus, não olhos de burocrata. Não há alternativa para um sacerdote. São Paulo o havia compreendido como pode-se ver nesse capítulo dos Atos dos Apóstolos, que o Papa definiu como "destinado aos homens de todos os tempos". A atualidade do texto antigo tornou-se matéria de reflexão para o sacerdote do tempo moderno. Em primeiro lugar, o sacerdote "não é dono da fé" – afirmou o Pontifíce:

"Não se é padre somente durante uma parte do tempo; se é sempre, com toda a alma, com todo o nosso coração. Esse ser com Cristo e ser embaixador de Cristo, esse ser para os outros é uma missão que penetra o nosso ser e deve sempre mais penetrar na totalidade do nosso ser."

O serviço – prosseguiu o Papa – chama à humildade. Que não é exibição de "falsa modéstia", mas amor pela vontade de Deus, que justamente graças à humildade do servidor pode ser anunciada na sua integridade, sem condicionamentos ou preferências, e sem "criar a ideia de que o cristianismo é um pacote imenso de coisas que devem ser aprendidas":

"Isso é importante: não prega um cristianismo à la carte, segundo os próprios gostos, pregando um Evangelho segundo as próprias ideias preferidas, segundo as próprias ideias teológicas: não se subtrai do anunciar toda, toda a vontade de Deus, inclusive a vontade incômoda, mesmo os temas que pessoalmente não o agradam tanto."

O texto paulino sugeriu ao Pontífice pontos de reflexão sobre o tema da conversão do coração. "Conversão" – disse o Santo Padre – é, sobretudo, conversão do pensamento e do coração, para a qual a realidade não são as coisas tangíveis ou os fatos do mundo assim como se apresentam, mas a realidade é reconhecer a presença de Deus no mundo. A partir dessa visão o sacerdote deve conduzir a sua "corrida" no mundo, sem jamais perder o ardor inicial – recomendou Bento XVI:

"Não percamos o zelo, a alegria de sermos chamados pelo Senhor (...) deixemo-nos renovar a nossa juventude espiritual (...) a alegria de poder seguir com Cristo até o fim, de levar a termo a nossa "corrida" sempre no entusiamo de sermos chamados por Cristo para esse grande serviço."

O sacerdote, como Paulo – afirmou o Santo Padre – não deve pensar na sua mera "sobrevivência biológica". É claro, cuidar de si é imperioso, mas não esqueçamos que a oferta de si, até a doação da vida, assimila o sacerdote a seu modelo, Cristo:

"Somente Deus pode fazer-nos sacerdotes, somente Deus pode escolher os seus sacerdotes e se somos escolhidos, somos escolhidos por Ele. Aí se mostra claramente o caráter sacramental do presbiterato e do sacerdócio, que não é uma profissão que deve ser assumida porque alguém deve adminsitrar todas as coisas (...) é uma eleição do Espírito Santo."

Pio XII – recordou o Papa – frisava o problema da "sonolência dos bons", ou seja, a ausência daqueles limites que comumente os próprios cristãos opõem às forças do mal. O sacerdote é chamado a "vigiar" e a rezar intensamente – reiterou:

"Vigiem sobre vocês mesmos": estejamos atentos também com a nossa vida espiritual, o nosso estar com Cristo (...) rezar e meditar a Palavra de Deus não é tempo perdido em relação ao cuidado pelas almas, mas é condição para que posamos estar realmente em contato com o Senhor e assim falar em primeira mão do Senhor aos outros."

A Igreja é ameaçada e o será sempre – disse o Pontífice. Mas essa consciência jamais deve levar a esquecer outras inalteráveis realidades:

"A verdade é mais forte do que a mentira, o amor é mais forte do que o ódio, Deus é mais forte do que todas as forças adversas. E com essa alegria, com essa certeza interior aprendemos o nosso caminho (...) nas consolações de Deus e nas perseguições do mundo." (RL)

quarta-feira, 9 de março de 2011

Homilia do Santo Padre na Missa de Quarta-feira de Cinzas


Caros irmãos e irmãs,


Iniciamos, hoje, o tempo litúrgico da Quaresma com o sugestivo rito da imposição das cinzas, através do qual queremos assumir o empenho e converter o nosso coração em direção aos horizontes da graça. Em geral, na opinião comum, este tempo pode receber a conotação de tristeza. Ao invés disso, é um dom precioso de Deus, é tempo forte e denso de signifcados no caminho da Igreja, é o itinerário em direção à Páscoa do Senhor. As leituras bíblicas da celebração de hoje nos oferecem indicações para viver em plenitude esta experiência espiritual.

"Retorneis a mim com todo o coração" (Gl 2,12). Na primeira leitura, tirada do livro do profeta Joel, escutamos estas palavras com as quais Deus convida o povo hebraico a um arrependimento sincero e não supercial. Não se trata de uma conversão superficial e transitória, mas de um itinerário espiritual relacionado em profundidade às atitudes da consciência e supõe o sincero propósito de rever-se. O profeta toma como ponto de partida a chaga da invasão das tropas que se lançaram contra o povo destruindo as colheitas, para convidar a uma penitência interior, a lacerar o coração e não as vestes (cf. 2,13). Se trata, isto é, de colocar em ato uma atitude de conversão autentica a Deus, retornar a Ele, reconhecendo a sua santidade, a sua potência, a sua majestade. E esta conversão é possível porque Deus é rico em misericórdia e grande no amor.

A sua misericórdia regeneradora, que cria em nós um coração puro, renova no íntimo um espírito perseverante, restituindo-nos a alegria da salvação (cf. Sl 50,14). Deus, de fato, não quer a morte do pecador, mas que se converta e viva (cf. Ez 33,11). Assim, o profeta Joel ordena, em nome do Senhor, que se crie um ambiente propício penitencial: necessita tocar a trombeta, convocar a assembleia e despertar as consciências.

O período quaresmal nos propõe este âmbito litúrgico e penitencial: um caminho de 40 dias, onde experimentamos, de modo eficaz, o amor misericordioso de Deus. Hoje ressoa para nós o apelo: “Retornem a mim com todo o coração”. Hoje somos nós os chamados a converter o nosso coração a Deus, conscientes sempre de não poder realizar a nossa conversão sozinhos, com as nossas próprias forças porque é Deus que nos converte. Ele nos oferece ainda o seu perdão, convidando-nos a voltar a Ele a fim que nos dê um coração novo, purificado do mal que o oprime, de modo que possamos participar da sua alegria. O nosso mundo tem necessidade de ser convertido por Deus, tem necessidade do seu perdão, do seu perdão, do seu amor, tem necessidade de um coração novo.

"Deixai-vos reconciliar com Deus" (2Cor 5,20). Na segunda leitura, São Paulo nos oferece um outro elemento no caminho da conversão. O apóstolo convida a retirar o olhar dele para voltar a atenção sobre aquele que o enviou e sobre o conteúdo da mensagem que leva: "Em nome de Cristo, portanto, somos embaixadores: por meio de nós é o próprio Deus que exorta. Vos suplicamos em nome de Cristo: deixai-vos reconciliar com Deus". Um embaixador repete aquilo que ouviu pronunciar do seu Senhor e fala com a autoridade dentro dos limites que recebeu. Quem desenvolve a tarefa de embaixador não deve lançar o interesse sobre si mesmo, mas deve colocar-se a serviço da mensagem que deve ser transmitida e de quem o mandou.

Assim, age São Paulo ao absorver o seu ministério de pregador da Palavra de Deus e de apóstolo de Jesus Cristo. Ele não se esquiva diante da missão recebida, mas a absorve com total dedicação, convidando a abrir-se a graça, a deixar que Deus nos converta: “Porque somos seus colaboradores, - escreve - vos exortamos a não acolher em vão a graça de Deus" (2 Cor 6,1). O apelo de Cristo à conversão, nos diz o Catecismo da Igreja Católica, continua a ressoar na vida dos cristãos (...); é um compromisso contínuo para toda a Igreja que compreende no seu seio os pecadores e que, santa junto e sempre necessitada de purificação, incessantemente se aplica à penitência e a sua renovação. Este esforço de conversão não é somente uma obra humana. É o dinamismo do coração contrito (Sl 51,19), atraído e movido pela graça a responder ao amor misericordioso de Deus que nos amou primeiro (CIC 1428).

São Paulo fala aos cristão de Corinto, mas através deles espera voltar-se a todos os homens. Todos de fato, tem necessidade da graça de Deus, que ilumine a mente e o coração. O apóstolo reforça: "Eis agora o momento favorável, eis o dia da salvação!" (2 Cor 6,2). Todos podem abrir-se a ação de Deus, ao seu amor. Com o nosso testemunho evangélico, nós cristãos devemos ser uma mensagem viva, mais ainda, em muitos casos somos o único evangelho que os homens de hoje ainda leem . Eis a nossa responsabilidade diante do exemplo de São Paulo, eis um motivo a mais para viver bem a quaresma: oferecer o testemunho da fé vivida em um mundo em dificuldade que tem necessidade de retornar a Deus, que tem necessidade de conversão. “Procurem pelo praticar da vossa justiça diante dos homens para serem admirados por eles" (Mt 6,1).

Jesus, no Evangelho de hoje, relê as três obras fundamentais de piedade previstas na lei mosaica. A esmola, a oração e o jejum caracterizam o hebreu observador da lei. No decorrer do tempo, estas prescrições foram ligadas ao formalismo exterior ou, por assim dizer, se transformaram em sinal de superioridade. Jesus coloca em evidência, nestas três obras de piedade, uma tentação comum. Quando se cumpre qualquer coisa boa, quase instintivamente nasce o desejo de ser estimados e admirados pela boa ação, de ter uma satisfação. E isto, de uma parte nos fecha em nós mesmos, de outra parte, nos leva fora de nós mesmos porque desta forma viveremos projetados em direção aquilo que os outros pensam de nós e admiram em nós. Ao repropor estas precrições, o Senhor Jesus não nos pede um respeito formal a uma lei exterior ao homem, imposta por um legislador severo com um fardo pesado, mas convida a redescobrir estas três obras de piedade, vivendo-as de modo mais profundo, não por amor próprio, mas por amor de Deus, como meios no caminho de conversão a Ele. Esmola, oração e jejum: é o tratado da pedagogia divina que nos acompanha, não somente na Quaresma, mas em direção ao encontro com o Senhor ressucitado. Um tratado a percorrer sem ostentação, na certeza que o Pai celeste sabe ler e ver também no segredo do nosso coração.

Caros irmãos e irmãs, iniciamos confiantes e alegres o itinerário quaresmal. Quarenta dias nos separam da Páscoa. Este tempo forte do ano litúrgico é um temp propício que nos é doado para esperar, com maior empenho, a nossa conversão, para intensificar a escuta da Palavra de Deus, a oração e a penitência, abrindo o coração a dócil acolhida da vontade divina para uma prática mais generosa da mortificação, graças a qual andaremos mais largamente em direção ao próximo necessitado: um itinerário espiritual que nos prepara a reviver o Mistério Pascal.

Maria, nossa guia no caminho quaresmal, nos conduza a um conhecimento sempre mais profundo de Cristo morto e ressuscitado, nos ajude na batalha espiritual contra o pecado e nos apóie para clamarmos em alta voz: "Converte-nos, ó Deus, nossa salvação".
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...